Fondazione Pietro e Alberto Rossini e Rossini Art Site presentano la mostra personale di Franz Stähler, quarta
edizione del ciclo “Gli amici di Alberto Rossini”, dedicato agli artisti che hanno intrattenuto rapporti di amicizia e
condiviso la propria progettualità artistica con il collezionista, scomparso nel 2015.
Franz Stähler (Niederzeuzheim, 1956 – 2018) è stato un artista tedesco che ha lavorato principalmente in
Italia. Alberto Rossini lo conobbe molto giovane grazie ai rapporti di lavoro che intratteneva con il padre, Theo
Stähler. La vita dei due fu connotata da una lunga e profonda amicizia: Rossini si innamorò subito della poetica
istintiva espressa nelle sue opere e, dal 1986, per sostenerne il lavoro, lo invitò presso la sua casa a trascorrere
lunghi periodi, anche di diversi mesi consecutivamente. Ogni sera Alberto e la moglie Luisa erano soliti cenare
insieme a Franz, come se l’artista fosse stato un figlio acquisito, che aiutava anche a preparare la tavola. Franz
amava la cucina della signora Luisa, l’atmosfera familiare, i racconti di Alberto. Con lui facevano anche brevi
viaggi, come alla Biennale di Venezia, o a visitare mostre e a trovare amici. Il loro era un rapporto sereno, senza
conflitti, sincero e quotidiano, come se si fossero conosciuti da sempre. Con Alberto, Franz condivideva progettualità
e riflessioni sull’arte; grazie al collezionista, l’artista poté realizzare opere tecnicamente ardite, rese
possibili dal supporto tecnologico dell’azienda Ranger. Alberto lo accompagnava, infatti, in ogni scelta tecnica,
desideroso di trovare sempre una soluzione ai problemi che si presentavano di volta in volta.
Abile ceramista, nel 1987 Franz Stähler vinse il prestigioso Premio Faenza. In seguito predilesse materiali
naturali, poveri, legati alla terra, ma anche mattoni, ferro, legno di recupero. Le forme realizzate richiamano
oggetti antichi, forme elementari. Della collezione Rossini fanno parte decine di opere di piccole e grandi
dimensioni. Le sculture installate nel parco della collezione sono tutte site-specific: Tulipani, 2000; Collana per
la terra, 2010; S.T (marmo e legno), 2005; Anfore, 1998; S.T. (cotto), 2005.
La mostra Senza Titolo rende omaggio all’artista, alla sua capacità di inventare nuove forme da materiali di
recupero e naturali. Laddove c’è un titolo, non è altro che la descrizione della forma creata. Insieme alle sculture
che fanno parte della collezione Rossini, la mostra presenta una selezione di opere realizzate in legno, mattone,
ceramica, ovvero con i materiali di cui tipicamente si serviva, talvolta abbinati con materiali tecnici frutto della
collaborazione con il collezionista. Allestite nel parco, lungo un percorso che dal padiglione di James Wines
scende verso la conca erbosa e il laghetto per poi risalire verso i Tulipani e le Anfore, le opere tracciano un
percorso all’interno della sua poetica.
Tulipani e Anfore sono tra le sculture più rappresentative del Rossini Art Site, grazie alla loro monumentalità
che intreccia un dialogo poetico con il paesaggio circostante. I primi raggiungono un’altezza di 22 metri, mentre
le seconde di 14. L’installazione dei Tulipani – costituita da otto corolle verniciate con colori saturi, sgargianti,
erette su pali in acciaio che evocano sottili steli verdi – esemplifica il rapporto di Alberto Rossini con Stähler e
con quegli artisti invitati a sperimentare nell’azienda Ranger. Nel percorso espositivo fanno da eco ai colori dei
Tulipani le sculture Fiori: la struttura di metallo che crea la forma dei Fiori diviene griglia entro la quale sono
incastonati vetri variopinti, capaci di brillare nella natura che li circonda.
Rappresentano a pieno titolo la poetica di Stähler le cinque Anfore di terracotta, sorrette da treppiedi in acciaio.
Questi enormi vasi vengono innalzati al cielo come simbolo dell’abbondanza e della fertilità. Le Campane della
terra, scultura monumentale in cotto, e le numerose opere Senza Titolo disposte nel parco insieme alle opere
della collezione permanente restituiscono al visitatore l’agire dell’artista, che nel 2010 diceva: “Siamo una
piccola parte di un grande discorso. Ogni opera può aggiungere un segno allo spazio: allora, sottratta dal dover
essere bella per forza, l’opera forse può liberare la persona, in questo vedo una cosa interessante per il nostro
secolo e per il nostro modo di vedere le cose”.